Se pensiamo al vino ci vengono in mente cantine piene di botti, dove riposa il vino buono pregiato e prezioso. Certamente il legno è strettamente connesso con il vino ma la sua qualità non dipende strettamente da lui. Come ci ripetono sempre i nostri piccoli vignaioli, il buon vino nasce in vigna e solo chi conosce profondamente il proprio territorio, il proprio prodotto e lo segue dalla vigna alla bottiglia riesce a sfruttare le caratteristiche del legno per esaltare ancora di più quelle del vitigno e del vino.
Qui trovate una selezione dei nostri migliori vini che hanno fatto legno: iniziamo da quelli più noti come il Barolo Rocche dell’Annunziata dei Fratelli Revello, il Brunello di Montalcino Riserva della Tenuta Buon Tempo, l’Amarone Riserva Costa d’Angelo di Franchini e il Bolgheri Superiore Piastraia di Michele Satta, e passiamo poi ai meno noti ma ottimi Maancrie dei Vigneti Bonaventura, lo Sforzato Sbagliato di Dirupi o il Belleus di Messnerhof . Senza dimenticare i vini bianchi il GiovinRe di Michele Satta o il Bakchai dei Vigneti Bonaventura o lo chardonnay Bianco d’Altarocca della cantina Altarocca solo per citarne alcuni. Ma proseguiamo il discorso sulle botti.
Il legame tra botti e vino ha origini antiche: le prime erano ricavate semplicemente scavando all’interno dei pezzi di tronco, poi sono diventati dei recipienti costruiti con doghe di legno strette da cerchi di metallo, opera dell’arte artigiana dei mastri bottai, utili a trasportare il vino dalle cantine alle locande e a conservarlo nel migliore dei modi. Nel corso del XX secolo arrivano nelle cantine nuovi materiali come il cemento, il ferro smaltato, il vetroresina e l’acciaio inox e il vino si lavora e si conserva in questi materiali inerti. Ma il legno non scompare anzi, si comprende meglio che il suo corretto utilizzo permette di affinare il vino e esaltarne le qualità organolettiche.
Prima di vedere come funziona questo scambio, vediamo come si costruisce una botte.
Come prima cosa è importante scegliere il legno giusto che deve essere resistente e poroso, perché deve cedere le sue caratteristiche senza prevalere sul vino. Nel tempo sono state sperimentate diverse essenze e il Rovere è risultato il più adatto, perché è facile da lavorare ma resistentissimo. Di solito proviene dalle foreste della Slavonia, dal massiccio centrale francese o dall’America.
Poi è importante la stagionatura del legno, un processo naturale che fa perdere al legno gran parte della sua umidità senza seccarlo. Dal cuore di tronchi dritti e senza nodi di almeno 100-150 anni si ricavano le doghe che formeranno la botte e che dovranno essere stagionate prima di poter essere usate. Con le assi si forma una catasta che resterà all’aperto per un periodo che varia dai 18 mesi fino ai 5 anni perché per ogni centimetro di legno servono 8 mesi di stagionatura.
Le botti si costruiscono con lo stesso metodo usato dei mastri bottai del medioevo, con qualche accorgimento moderno. Le doghe stagionate vengono rifinite e sagomate per poter aderire l’una all’altra in modo perfetto, poi si accende un fuoco che scalda, piega e rende malleabile il legno. Vengono quindi messi i cerchi di ferro intorno alle doghe e gli artigiani con un martello battono i cerchi per stringere le assi e formare il corpo della botte che poi verrà chiuso con i due fondi. Dopo alcune prove di tenuta la botte è pronta per la sua funzione di affinamento e conservazione.
Il legno è un contenitore naturale che grazie alla sua porosità permette a piccole dosi di ossigeno di penetrare e di far respirare il suo contenuto e allo stesso tempo cede al vino aromi speziati, dolci, aromatici e ammorbidisce i tannini. Anche il colore cambia: i vini rossi prendono toni più intensi e i vini bianchi tonalità dorate o aranciate. Questo scambio tra contenitore e contenuto produce cambiamenti sostanziali, a volte imprevedibili e a volte sorprendentemente positivi: il successo dipende dall’utilizzo ragionato del contenitore in legno e dalla profonda conoscenza del vino e dell’annata, individuando la loro combinazione ottimale sulla base dell’esperienza, della ricerca e anche della sperimentazione, oltre alle indicazioni indicate nei disciplinari. Si penserà così a fare dei tagli con vini di botti diverse e si calcoleranno tempi di affinamento: solo qualche mese per i contenitori più piccoli, fino a qualche anno per i vini rossi nelle grandi botti, con una microssigenazione più lenta.
Per i processi di affinamento e maturazione del vino si parla sia di botte che di barrique ma c’è differenza: la barrique è una botte piccola di 225 litri (barrique bordolese) o di 228 litri (barrique borgognotta) e in Francia è la misura tradizionale. Origini a parte, l’aspetto importante è che la barrique ha un volume inferiore alla botte e questo comporta in proporzione una maggiore superficie di legno a contatto con una minor quantità di vino e quindi una influenza maggiore sulle caratteristiche del prodotto stesso.
Nella barrique il vino acquista fragranze insolite e diventa più vellutato, all’interno di una botte di grandi dimensioni l’invecchiamento è più rispettoso del vino stesso perché, a parità di volume di vino, la superficie legnosa a contatto con il liquido è minore, la microssigenazione e la cessione di sostanze aromatiche sono più lente e di minore entità e il vino mantiene le sue caratteristiche quasi intatte.
In Italia si usa la barrique per un passaggio di qualche mese di quei vini bianchi e rossi non da invecchiamento che puntano ai massimi livelli qualitativi e, come già accade in Francia e Germania, stiamo iniziando a usare la barrique per la fermentazione dei vini bianchi per ottenere note legnose. Le botti di grande capacità invece vengono normalmente utilizzate per l’invecchiamento dei grandi vini rossi perché grazie alla microssigenazione lenta i tannini si ammorbidiscono e lasciano il posto ad aromi finali che senza il legno non sarebbero mai emersi.
A prescindere che si usino botti o barrique, il rapporto con il vino è sempre delicato perché il legno cedendo al vino le tipiche note legnose potrebbe anche coprirne i profumi. Chi usa il legno correttamente lo fa per esaltare le caratteristiche varietali del vitigno, non certo per omologare con note legnose gradevoli al palato un vino che non ne avrebbe bisogno per esprimersi al meglio: un vino è di qualità quando è curato e rispecchia il territorio, non solo perché “ha fatto legno”.