Primavera inoltrata, finalmente liberi di circolare, si parte destinazione Ponte in Valtellina a riprendere il filo del discorso lasciato in sospeso al FIVI del 2019 con Michele della cantina Dirupi, piccola cantina di 6 ettari vitati, certificata biologica dal 2016, che declina in 6 modi pazzeschi il Chiavennasca, ovvero il Nebbiolo della Valtellina. Per la precisione ci troviamo nelle sottozone di Grumello e Inferno, dove l’azienda ha diverse vigne distribuite in un territorio già di per sé frazionato in piccoli appezzamenti e andiamo subito in vigna con Michele. Il panorama è suggestivo, ma solo se ti arrampichi su scale di pietra e cammini tra gli stretti passaggi dei terrazzi di sassi per raggiungere l’ultimo filare riesci a farti un’idea di cosa comporta coltivare uva in montagna. È una viticoltura eroica, fatta di rispetto per l’ambiente e per il suolo consapevoli di essere parte di un cambiamento in armonia con la natura, a cominciare da vigneti perfettamente allineati su muretti a secco che rubano terreno coltivabile alla montagna e pensati per drenare tutta l’acqua che il clima comporta. Per Dirupi è fatta anche di circa 2500 nuove piante che ogni anno vengono messe a dimora e che insieme alle vigne centenarie resistono e crescono tra piogge, freddo, neve, vento e un sole che diventa sempre più caldo di anno in anno. Il territorio di origine morenica è complesso, variabile di zona in zona, più o meno minerale e sassoso e questo unito alle differenti altezze in cui si trovano – tra i 400 e i 570 metri s.l.m. – fa si che ogni vigneto abbia diversa escursione termica, diverse caratteristiche e una diversa resa. Tanto per dire dalla vigna dove si producono le uve per la Riserva si ottengono 50 quintali per ettaro, quindi una vigna vecchia con una bassa resa che rende i vini ancora più preziosi.
Ci spostiamo in cantina, dove i 6 ragazzi di Dirupi hanno recuperato parte di un monastero benedettino del 1568 nel comune di Ponte. La piccola cantina con le botti è stata restaurata mantenendone le dimensioni originali: si trova 7 metri sotto il monastero ed era già in uso ai tempi dei benedettini. Ogni uva macera e fermenta singolarmente nella propria vasca di acciaio in modo da definire e capire al meglio le caratteristiche di ogni uva e le vinificazioni sono separate.
Tra le loro etichette voglio soffermarmi su GESS e GUAST che possiamo considerare due “cru” tanto che per produrli vengono utilizzate le uve coltivate solo nella rispettiva parcella e se sfortunatamente l’annata non è soddisfacente o viene danneggiata dal maltempo l’etichetta quell’anno non viene prodotta. Il GESS deve il suo nome al Dosso del Gess, come viene chiamato in dialetto lo strato di limo bianco di origine morenica che compone il suolo dove si trova la vigna che lo produce. Il GUAST nasce da una vigna posta in una ex torbiera nella sottozona Inferno, dove trova un suolo buono e ricco: la produzione è piccolissima, parliamo di poco più di 950 bottiglie.
Una menzione a parte merita il vino SBAGLIATO uno sforzato che, come l’amarone, è il risultato di uve lasciate appassire a lungo fino a perdere per disidratazione naturale fino al 30% dell’acqua. Si chiama così perché la prima volta che è stato prodotto il risultato non era per niente soddisfacente quindi sulla botte è stato scritto “sbagliato” con un pennarello, continuando la produzione l’anno successivo. Una volta raggiunta la qualità desiderata al momento di scegliere il nome, sull’etichetta ci è finito quello che era il nome ormai per tutti…lo “sbagliato” che è diventato invece un prodotto d’eccellenza.
E per finire in bellezza il nostro tour abbiamo assaggiato in anteprima il nuovo spumante, sempre da uve Nebbiolo: un pas dosé dal gusto secco, dal colore leggermente rosato e dalla bollicina fine, che passa 36 mesi sui lieviti, una bomba per le prossime feste!
Se vi siete appassionati come me ai vini dei Dirupi, li trovate tutti qui